NESSUNO n. 4 - Davide Rabiti

© Davide Rabiti. Dalla serie "Valdazze"
Il Nessuno n. 4 è un romantico forlivese che con la sua poesia nostalgica intinge il passato di presente: Davide Rabiti da Forlì.

1 - Buongiorno Sig. Rabiti, è un piacere averla con noi. Sfogliando dal principio il tuo Facebook si incontrano per lo più fotografie di viaggio. E il viaggio da te inteso è un'esperienza che oserei dire "poco fisica
" ma molto emotiva. Se proprio vogliamo riassumere possiamo dire: Ricordi. Quanto sono importanti i ricordi visivi che si portano a casa e perché ha senso mostrarli? Beh in effetti, a guardar bene, prevalgono le fotografie di viaggio. Hai perfettamente ragione, il viaggio per me è per lo più un’ esperienza emotiva quasi sempre legata ad amici e quindi, fotografare quei luoghi, mi fa poi venire in mente le giornate e i momenti passati assieme, un modo di fermare i ricordi in quegli scatti. Spesso, forse involontariamente, mi soffermo più sui particolari o comunque cerco di non scattare la classica foto “turistica”, ogni tanto ne esce qualche scatto decente, che mi soddisfa. Oltre a fermare i ricordi, mi piace fare un piccolo reportage del viaggio, ho sempre pensato, ma poi non l’ho mai fatto, di creare una pagina Instagram o un blog di viaggio, con informazioni turistiche magari un po’ diverse da quelle delle classiche guide ma ormai lo fanno tutti e anche molto bene.
In definitiva mostro le foto di viaggio per “promuovere”, nel mio piccolo, una città, un luogo, una regione ma anche per condividere un ricordo, seppur in un social. Certo anche io mi chiedo se ha senso mostrarle, a volte penso di no, a volte penso invece che sia un modo per rimanere connessi con persone che sentiamo e vediamo meno.
2- Vorrei entrare nel vivo e parlare di Super Santos. Una serie eccezionale che ti è valsa l'entrata nella Hall of Fame del football forlivese. Anche qui i ricordi la fanno da padrone. Come ti è venuta l'idea? Si può parlare del calcio come di elemento unificatore fra le genti ma anche fra passato e presente? L’idea di Super Santos nasce da alcuni episodi: mi sono sempre piaciute le vecchie foto che rappresentano il calcio e un giorno in un mercatino dell’usato mi imbatto in vecchie riviste sportive con all’interno tantissime immagini di campi infangati, porte di legno dai pali quadrati, palloni di cuoio marrone, palloni a pentagoni neri, le maglie di lana semplicissime ma bellissime, senza sponsor. Questo mi ha fatto pensare ad un progetto ma non sapevo neanche io cosa. Poi qualche giorno dopo, mentre ero in macchina per Riccione, vedo dei bambini che giocano a calcio in un campetto di un oratorio coi giubbotti a fare da pali della porta, mi fermo e scatto qualche foto. Qualche giorno dopo mi reco a Bitonto in Puglia, da mio fratello, e girando per il centro storico incontro diversi bambini che giocano a calcio nei vicoli e nelle piazze (spesso con il mitico e bellissimo pallone Supersantos, che si trova soprattutto nel centro e sud Italia) come facevamo noi da piccoli, cosa che nel nord Italia non si vede più o quasi più da tempo. Da quel momento inizio a fotografare bambini che giocano in strada, nei campetti spelacchiati, fotografo palloni, campi abbandonati, i campi degli oratori, campi dispersi nelle campagne o in collina.
Sicuramente il gioco del calcio unisce le persone, in qualsiasi parte del Mondo, ci sono tantissime storie che lo testimoniano. Un esempio è il documentario, poi diventato un film: "Crazy for football" che racconta la storia della Nazionale italiana di calcio disabili mentali, che partecipò ai mondiali di calcio di Giappone 2016. Persone di tutte le età, con differenti patologie, che sino a quel momento stavano tutto il giorno seduti su una sedia o in un parco a non far niente o quasi, prendere medicine e peggiorare la loro condizione. Mentre con questa progetto, molti di loro si sono riscattati, la loro salute è migliorata, hanno riscoperto le relazioni sociali, la convivenza, la famiglia.
Per quanto riguarda questo progetto, sicuramente il calcio ha unito il passato con il presente. In generale non lo so, forse in Italia si, perché ha sempre avuto molta, troppa importanza, il calcio è da sempre intrecciato alla società, alla politica, alla storia del paese e alla vita di moltissimi italiani.
3- Le tue foto alternano dettagli lirici o bucolici con ambienti più o meno fatiscenti. Questa forte alternanza fra il bello propriamente detto e il fatiscente inappropriatamente detto, fa si che l'osservatore sia sempre sbilanciato verso l'arroganza dell'uomo che con i suoi "manufatti" lasciati marcire nell'incuria non ha saputo manterene le promesse che si è fatto e che ha fatto all'ambiente che è andato a modificare. Trovi che la fotografia sia utile per smascherare questa inutilità? Oppure la fotografia non è altro che un mezzo che potrebbe farci rivivere ciò che poteva essere ma non è stato? Direi tutte e due le cose che hai detto. Può essere un mezzo utile per smascherare e/o denunciare la presenza di manufatti lasciati marcire, luoghi lasciati al degrado ma anche per far rivivere ciò che poteva essere o ciò che è stato e adesso non lo è più. Prediligo quest’ultima considerazione, più emotiva, più malinconica, allo stesso tempo può essere un mezzo importantissimo per far riscoprire appunto, un luogo fatiscente, in modo che i cittadini lo conoscano e tornino a frequentarlo, a prendersene cura, a matenerlo vivo tramite iniziative sociali, eventi, cultura.
La mia fotografia la vedo più in quest'ottica. Comunque in generale, dipende dal luogo, nel senso che i posti fatiscenti hanno solo bisogno di essere riscoperti, fatti conoscere e rivalutati mentre per i luoghi abbandonati la questione è più complicata (per un fatto essenzialmente di costi). Spesso ho fotografato edifici in abbandono, forse solo per il loro fascino, per un fatto estetico, per l'emozione di entrare in questi spazi. Anche se in fondo, c'è sempre il pensiero di cosa si potrebbe fare per portarli a nuova vita.
A Forlì fortunatamente c'è un'associazione che si occupa di queste cose: Spazi Indecisi. Svolgono un lavoro molto importante, tramite la fotografia, videoreportage e ricerca storica degli edifici abbandonati presenti in Romagna, mappando tutto il territorio. Hanno creato un museo dell'abbandono a cielo aperto, itinerante, riportando alla luce la storia e facendo sì che alcuni venissero recuperati e riconvertiti a nuovi spazi d'incontro. Alcuni esempi sono l'ex deposito ATR o l'acquedotto di Spinadello dove si svolgono mostre fotografiche, incontri, festival, escursioni. Altri edifici a Forlì o disseminati per la Romagna sono stati restaurati o sono in fase di restauro, probabilmente la spinta a recuperarli viene anche da queste iniziative.
In definitiva: anche se sono affascinanti e belli da fotografare e da un lato spero rimangano così, mi piace pensare ad una nuova vita per questi spazi lasciati a loro stessi.
4- Valdazze è un'altra serie straordinaria. Un luogo perduto ma da te riscoperto, un luogo che è nel nostro immaginario più "sui muri" che sul territorio. Che sensazione hai avuto nel riscoprirme la storia? Hai avuto modo di metterti in contatto con persone che ne potesssero ricordare gli antichi fasti?
Valdazze è un po’ di anni che l’ho in mente. La prima volta nel 2012 quando uscì l’album “Valdazze” della band Saluti da Saturno, la copertina del cd mi fece venire in mente la scritta Valdazze che si leggeva sui muri, che costeggiavano la Statale E45 e le strade limitrofe tra Romagna e Toscana. Così cercai il perché di questa scritta sui muri ma non pensai subito di andare a fotografarla. Poi 4 anni dopo decisi di visitarlo e ci tornai altre tre volte nel corso degli anni per fotografarlo. Sin da subito la storia utopistica e sognante del cavalier Silvio Giorgetti di Forlì, mi aveva colpito, affascinato,  poi il fatto che ci fossero dei collegamenti con Forlì, con il liscio romagnolo di Secondo e Raoul Casadei, con band che ascolto come Saluti da Saturno ed Extraliscio (che l’hanno portata alla ribalta per qualche tempo), mi ha anche emozionato. Tra l’altro anche in questo progetto ci sono edifici abbandonati o fatiscenti, c’è un collegamento tra passato e presente.
Siamo entrati in contatto con il figlio del nipote di Silvio Giorgetti. Tramite amici di amici è venuto a sapere del progetto su Valdazze, è stato molto entusiasta di vedere la mostra, di sapere che ci fosse qualcuno interessato e ci ha raccontato qualche aneddoto ma soprattutto ci ha messo in contatto con il figlio di Silvio Giorgetti, che speriamo di incontrare presto per realizzare una video intervista, dove ci potrà raccontare come sono andate veramente le cose. L’idea è quella di realizzare un piccolo documentario e poi organizzare una giornata tutti assieme a Valdazze, con mostra, proiezione e magari qualche altro evento.
5- Sono rimasto impressionato dalla tua capacità di creare connessioni con la gente e i luoghi partendo dalle piccole cose (la mostra di Valdazze è stata organizzta nell'androne di un condominio forlivese). Non sono necessari grandi investimenti per mettere in contatto gli individui che tendono sempre più ad essere singolari anzichè plurali e da questo punto di vista stai svolgendo un ruolo prezioso. Te la senti addosso questa vena catalizzatrice o credi sia un po' frutto del caso? Grazie per queste parole. Dunque io non penso che sia frutto del caso, però non penso anche di aver una qualche vena catalizzatrice o comunque non me la sento. Nel caso dell’ultimo lavoro, sono stati molto importanti gli amici e i collegamenti che hanno con altre persone. In generale se ho un progetto in mente, cerco sempre di coinvolgere gli amici per farmi aiutare, magari per l’allestimento, per un consiglio, per un supporto morale (perché spesso non sono sicuro del lavoro che ho fatto), per collaborare, in sintesi per fare qualcosa assieme.
Sono stato molto contento e un po' stupito del fatto che sia venuta gente a vedere la mostra. L'idea iniziale era di allestire senza dire niente o quasi niente a nessuno, lasciando solo qualche cartolina dell'evento in giro per Forlì, senza riferimenti chiari su chi l'avesse realizzata e senza presenziare il giorno dell'inaugurazione, pensammo di nasconderci per vedere le reazioni delle persone alla visione delle fotografie. Assieme agli amici Renè e Lo Zio (Riccardo Matera) che hanno preso parte al progetto con le loro foto, abbiamo deciso che sarebbe stato bello fare pubblicità sui social, creando delle pagine Instagram con nickname inventati e tramite l'ausilio delle storie su Facebook. Questo, associato al passaparola, ha creato l'interesse. Io ero già contento, pensavamo che qualcuno sarebbe capitato alla mostra ma non così tanta gente e invece è stata una bella giornata, le persone erano interessate, ho ricevuto complimenti, erano curiosi di conoscere la storia di Valdazze e di come è nato il progetto. Tutto questo mi ha sorpreso, soprattutto dopo questi anni in cui ci si è allontanati gli uni dagli altri, alla fine c'era dell'affetto, c'era il volersi bene.
Oltre al fatto di organizzare qualcosa che ci piacesse è stato un pretesto per incontrare gli amici, per reincontrare persone con cui ci si vede poco e per conoscerne di nuove, anche i condomini del palazzo erano contenti di questa iniziativa. Tu sei venuto da Rimini, questa è stata una grande sorpresa e ti ringrazio, mi ha fatto un sacco piacere, mi avete fatto notare il bello di questa iniziativa, di come è stata organizzata, raccontata, ciò che le foto trasmettevano, erano contenti che avessi organizzato qualcosa. Ogni tanto ci vogliono questi momenti, fanno bene al cuore.

6- Parliamo di Forlì. L'hai fotografata spesso e naturalmente sei andato in cerca dei quartieri più periferici, dell'ordinario, del banale. Quando hai presentato le tue foto del centro storico l'hai fatto utilizzando una contrapposizione vecchio / nuovo inserendo alle foto da te scattate frammenti di fotografie d'epoca. Anche in questo caso abbiamo una connessione temporale fra passato e presente. La foto che diventa ponte del e nel tempo.
Cosa ti stimola di questo aspetto, perché ti stimola? Ti vedi distante (in questo senso) dal mondo fotoamatoriale che mira più al sensazionalismo dell'attimo?
Sono stato sempre attratto dalle storie del passato, dai vecchi oggetti, dalle vecchie foto e cartoline, guardo sempre indietro nel tempo. La contrapposizione passato e presente è per me molto interessante, soprattutto quando osservi il cambiamento delle città, dei paesaggi, pensare a come erano, alle persone che sono passate e sono vissute in quei luoghi.
Per esempio compro spesso vecchie cartoline già viaggiate, per leggere quello che le persone si scrivevano. A volte per farle diciamo riviverle, le ho riutilizzate, spedendole ad amici, lasciando il testo originale e cambiando solo l’indirizzo di spedizione oppure ho controllato se il vecchio destinatario fosse ancora residente presso quell’indirizzo e ho rimesso la cartolina nella buchetta, un ritorno dal passato. Sarebbe stato interessante vedere la reazione delle persone.
Si, mi sento lontano dal sensazionalismo, sono più interessato a quello che voglio raccontare che al solo fatto di fotografare o mostrare una bella foto.
Preferisco vedere le foto come corredo della storia.

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