NESSUNO n. 5 - Elisa Liverani

© Elisa Liverani 
La nostra Nessuno n. 5 è una fotografa che ridona il giusto tempo alla fotografia: Elisa Liverani da Forlimpopoli.

1- Ciao Elisa, grazie per essere la nostra Nessuno n. 5. Non sei nuova nel mondo delle arti, le hai frequentate in passato essendo una pittrice, come influisce questo background sul tuo modo di fotografare?
Credo che il mondo dell'arte, viverlo, frequentarlo, studiarlo, abbia fatto maturare in me una spiccata sensibilità in determinati ambiti. Sicuramente credo che mi abbia dotato di una mente abbastanza razionale imparando tecniche, regole, canoni, senso estetico, proporzioni. Fino a qualche anno fa facevo una distinzione netta tra arte e fotografia. 
Per me l'arte era colore, essenza vitale, passioni, irrazionalità, mentre la fotografia rimaneva dentro ad una bellissima bolla dove tutto era in bianco e nero, dove tutto apparteneva ad un mondo parallelo, razionale, rigoroso, fatto di tecnica e formalismi, dove non ci può essere margine d'errore: le linee dritte, vietato il mosso, vietato lo sfocato, una disciplina dove di concettuale non c'era nulla. In realtà in parte mi è rimasta questa cosa ancora oggi. Penso però che quando arte e fotografia si toccano, si intrecciano, si mescolano, a quel punto la fotografia venga completamente assorbita dall'arte diventandone parte e della fotografia, per come la intendo io, non rimane nulla. Diventa una nuova realtà che fa parte dell'arte. Non è né un male, né un bene, è solo un cambiamento che sicuramente valorizza l'arte che si pone su altri livelli ma non è più fotografia. 
Probabilmente il concetto di fotografia lo associo maggiormente alla mia formazione post pittorica cioè ai miei studi di architettura, legandola di più con la passione che ho per le forme e volumi, spazi, luci ed ombre. Fino a qualche anno fa ero convinta di non riuscire a "vedere" il mondo a colori. Ho smussato questa parte di me riuscendo ad avvicinare la fotografia un po' di più al mio modo di intendere l'arte grazie alle pellicole a colori. Ho dato inizio ad una visione cromatica relativa ad alcune situazioni in condizioni di luci che ora non fotograferei più in bianco e nero. Questa cosa mi ha fatto molto piacere perché tradurre ciò che vedevo a colori in bianco e nero non era facile, presentava forzature che mi pesavano e snaturavano la mia fotografia.
Nonostante quest'ultimo aspetto sono sicura: la fotografia non è arte.

2- Sei una fotografa vecchio stile: lentezza, accortezza, oculatezza, pazienza, pignoleria, attenzione, pellicola, caricamento, scatto e poi sviluppo, camera oscura, prove su prove ed infine stampa. O meglio: stampe. Tante. Anche per un singolo fotogramma. Curi praticamente tutte le fasi del processo fotografico. Come mai questa metodologia di lavoro e qual è la fase che maggiormente ti stimola?
Il mezzo che più fotograficamente mi appartiene è la fotografia analogica, non solo per la sua tempistica lenta, pensata, voluta, cercata e ricercata, ma soprattutto perché la fotografia analogica mi permette di seguire e gestire ogni variabile di percorso perché la fotografia avviene nel momento in cui si conclude il suo percorso di nascita. 
Pensare ad uno scatto e alla realizzazione così come l' ho immaginato significa attuarne la "creazione" attraverso fasi che partono dalla scelta del mezzo fotografico e di conseguenza il tipo di pellicola e il formato non tralasciando l'aspetto qualitativo in termini di contrasto o di sensibilità. La cromia nel caso della pellicola a colore si riflette nella scelta della marca da usare; se voglio una prevalenza di toni caldi o freddi.
Poi abbiamo la fase dei tempi e diaframmi non solo in macchina ma anche nell' ingranditore in fase di stampa. Sono fondamentali in quanto definiscono il tipo di contrasto ed infine il tipo di carta a partire ancora una volta dal formato, se baritata o politenata, tono freddo o warmtone a seconda dei soggetti fotografati. Tutto questo e molto altro fanno parte di quello in cui per me consiste una fotografia. In essa c' è davvero un mondo che sicuramente non può avere tempi veloci bensì dilatati in quanto pensati, immaginati e realizzati, un processo in cui io sono al 100% parte integrante della fotografia e per me questo non è solo stimolante, ma é proprio un bisogno che mi lega allo scattare. È talmente importante che se sono impossibilitata a stampare in camera oscura faccio proprio fatica a scattare anche solo un rullino. Un bisogno viscerale quello della magia della camera oscura.

© Elisa Liverani
3 - Dove hai imparato la fotografia analogica? Perché hai speso tempo in questa tipologia di fotografia quando gli strumenti del digitale rendono tutto più facile e rapido?
Ho sempre avuto curiosità, prima che divenisse necessità, di vedere cosa succedeva all'interno della camera oscura. Ho iniziato ad andarci con un fotografo mio carissimo amico nonché bravissimo stampatore a cui sicuramente devo tantissimo perché mi ha trasmesso la passione per tutto il processo fotografico facendomi partecipe della magia che si innesca quando la luce si spegne e rimane solo la luce rossa. Magia che rilevo non tanto nella fase di sviluppo del rullino bensì in fase di stampa con l' utilizzo dell'ingranditore, dalla scelta del tipo di foglio, all' utilizzo del marginatore professionale passando per la messa a fuoco dell'ingranditore tramite il mirino cercando di riuscire a trovare l' altezza giusta in modo da avere la proiezione del negativo più nitida possibile e quindi vedere esattamente il tipo di grana che avrà l' immagine. Ricordo che non è stato semplice imparare a leggere il negativo e di conseguenza immaginarlo già in positivo per impostare l' ingranditore.
Poi si devono fare i conti con le caratteristiche dei rullini, alcuni molto contrastati, altri più morbidi e capire quanto sia stata corretta l' esposizione dello scatto non prima di aver preparato le bacinelle con i chimici: lo sviluppo, lo stop, il fissaggio e il lavaggio in bacinella e in lavello con acqua corrente. Le pinze che puntualmente all' angolo della bacinella scivolano nel chimico. Fondamentale è tener il foglio da un angolo senza rovinare la carta soprattutto quella baritata in cui ogni piega o lieve ammaccatura poi rimane, far sgocciolare in modo da non contaminare la bacinella successiva, il tutto cronometrato, ad una temperatura costante, non troppo fredda altrimenti i chimici non si attivano.
Dopo un paio di anni che entravo in camera oscura mi iscrissi al "Gruppo fotografico 93" di Cesena e iniziai praticamente tutti i giorni ad andare a stampare, sedute di 3-4 ore fino a stancarmi. Il mio piccolo mondo delle meraviglie. La forte motivazione che ha spinto a legarmi alla fotografia analogica credo sia molto chiara. Tutto ciò che considero Fotografia o parte integrante di essa con il digitale manca o lo snatura. I tempi accelerano vero, ma è un bene davvero?
Poi chiaramente in analogico determinati tipi di fotografia vengono ampiamente sostituiti dal digitale, ma non sono molto convinta e comunque credo sia un esercizio mentale che va oltre l'utilizzo di un mezzo ma si proietti in un discorso e visione ben più intima ed ampia.

4- Guardando il tuo profilo Instagram si può notare quale condensato sia di tutto ciò che ti riguarda dentro e fuori. Affetti, passioni, paure, visioni, documentazione, autorappresentazione. Ogni foto ha un legame fortissimo con l'emotività e la parte più profonda del tuo essere. E' necessario mettersi così in "gioco" per fare fotografia?
Non so se è necessario mettersi in gioco. Sicuramente quello che si vede su Instagram è una testimonianza di quello che vivo e che ho dentro. Una forma di diario del mio quotidiano attuale e passato che mi serve riguardare perché sento che alcune cose non sono state chiuse e sono rimaste non finite.
Con Instagram i tempi si abbreviano, ma è giusto così, sono appunti veloci, più per me che per chi guarda, chi osserva, chi giudica, non so. Ho pochi contatti, se mi metto in gioco sicuramente non è per loro. Tra l' altro distinguo all'interno del mio profilo due tipi di immagini: 1- gli scatti fatti con il cellulare che assumono il ruolo di estemporanee di luoghi e situazioni capitate all'improvviso, scatti in cui comprendo anche le mie autorappresentazioni; 2- foto o video della delle lavorazioni in camera oscura oppure scansioni che riguardano la testimonianza di una fotografia "reale", analogica.
Credo che Fotografare sia una necessità, se questa necessità non c'è è meglio non cercare di tirare fuori scatti che non sono altro che puri e semplici formalismi del momento. La fotografia è un qualcosa che si programma perché si sente un bisogno di ricerca, questa ricerca può anche non portare a nulla. E' una ricerca di cui sentiamo bisogno in primis noi e in secondo luogo condividere e comunicare queste incredibili emozioni che nascono da anche solo uno scatto. Fotografia come comunicazione, come filtro tra noi e il mondo esterno, anche attraverso Instagram e chi c'è dentro. Chiaramente un pubblico che io seleziono per condividere queste mie emozioni.
Da ragazzina il mio mezzo per molti anni era la pittura. Ho sempre avuto difficoltà a manifestare ed esprimere a parole emozioni di qualunque natura. Sono una persona molto materiale, non so spiegarmi bene, ho sempre sentito la necessità di avere un filtro tra il mio modo di esprimermi e la rappresentazione. Ora sono rullini, ma al tempo era la materia il mio mezzo: colori, paste, tele, pennelli, velature, e tanto altro. Era sempre comunque presente un processo che mi portava a concretizzare con la materia i miei pensieri, la mia ricerca.

© Elisa Liverani
5- Architettura: altro tuo amore. Sono rare le riprese frontali, prediligi più lo scorcio, mostrandoci prospettive filanti, a volte sfuggenti quasi ad ingentilire o ad alleggerire tutto quel vintage messo quasi alla rinfusa addentro le campagne romagnole. C'è un motivo particolare?
L'Architettura, come forse in parte l'urbanistica, sicuramente nella mia vita rappresenta davvero tante cose, forse ancor più della fotografia.
Se la fotografia è magia, qualcosa che mi fa stare bene, che mi aiuta a fare ordine, a razionalizzare, a comunicare, tutte connotazioni positive, l'architettura invece racchiude quella mia parte malinconica che spesso in fotografia emerge. Ho un conto in sospeso con l'architettura, il "non finito" del quale parlavo prima che probabilmente mi rimarrà per tutta la vita. Scelte di vita mi ci hanno allontanato, ma la visione che ho così razionale e severa fanno parte del mio bagaglio culturale. Anche solo le prospettive, i tagli, le inquadrature, la scelta dei miei soggetti, sicuramente provengono in gran parte dai miei studi.
Mi piace fotografare l'architettura, in generale tutta, legata chiaramente al contesto in cui nasce, vive e muore. Nell'oggetto architettonico senza dubbio ne fanno parte gli spazi vuoti o non che la circondano e a volte assumono maggiore importanza dell'oggetto stesso. Tra il tema architettonico includo quello degli spazi vuoti che mi appassionano in egual modo. Ho da tempo diversi temi urbani e architettonici che mi ronzano in testa, messi in standby per il problema di non poter accedere in camera oscura per stampare, finché non sento che si è conclusa la mia ricerca personale, torno più volte con luci e tempi differenti e rullini diversi per coglierne davvero ogni angolo fatto di volumi geometrici, ombre, luci, plasticità, bucature, texture, superfici, prospetti.
Un altro tema che trovo sicuramente stimolante sono i vecchi casolari, ruderi, edifici abbandonati nelle campagne o nelle zone periferiche. La loro malinconia mi attrae tantissimo, il loro stato di degrado è significativo di come gli oggetti vengano messi al margine di una società che ne ha risucchiato l'essenza e che attendono la loro fine, quella di crollare pezzo per pezzo, di essere abbattuti, di essere, come le persone, ricordate in una fotografia. Gli edifici senza l'amore e le premure dell'uomo muoiono. Una sorta di empatia verso l'edificio in cui il tempo ne sta rubando l' anima lasciando un involucro labile, fragile, bellissimo.

6- L'uomo è presente con le sue opere ma non compare mai in prima persona. Il mondo sembra così com'è quasi da sentenza divina. Perché l'uomo appare solo per trasposta opera muraria?
Si, l' uomo non appare quasi mai fisicamente, probabilmente molto dipende dal fatto che sono antropofobica, più passa il tempo più ne sento il peso. Da una parte c' è questo fattore non trascurabile, mi sento a disagio in presenza delle persone se non con persone a cui sono legata emotivamente. Dall'altra parte associo la presenza di figure umane a "rumore". Rumore inteso come interferenze, un surplus, un abbondare di forme, linee, di pieni, disturbano ed invadono la scena. Chiaramente nel caso di architetture la presenza umana é già intrinseca, in quanto manufatto costruito dall'uomo e soprattutto vissuto da esso. Anche negli abbandoni si sente questa presenza, anzi proprio l'assenza umana si accentua ancora di più, senza per forza apparire l'uomo si palesa nella sua forma di tempo dell'assenza stessa. Bastano pochi elementi per averne la percezione. A me basta questa.

7- Ho la netta impressione di trovarmi di fronte a 2 Elise quando scatti a colori o in bianco e nero. In bianco e nero curi molto la pulizia dell'immagine, a colori tendi a desaturare ma sono riconducibili certi richiami cromatici fra gli elementi della scena che diventa più articolata, meno lineare. E' una scelta precisa e perché?
Se ho bisogno (emotivamente) di volumi forti, luci aperte e ombre che sembrano bucature da quanto sono profonde, scatteró sicuramente in bianco e nero. Ottenendo una fotografia il cui segno é grafico, non reale.
Quando ho luci più morbide, cieli grigi o bianchi che fanno risalate i colori, difficilmente scatteró in bianco e nero rischiando di avere un risultato di grigiume uniforme con poco contrasto, a meno che non ne senta la necessità. Mi piace allo stesso pari, la morbidezza e le sfumature dei colori pastelli, che si ottengono da situazioni di luce diffusa, che non va a creare sull'oggetto dei tagli aggressivi o colori marcatamente acidi. In questo modo sicuramente la stessa inquadratura, dello stesso soggetto sembrerà meno pulita ma con più informazioni, più facilmente leggibile con tanti dettagli che riempiono la scena. Mi fanno impazzire i colori desaturati perché li trovo più malinconici in un certo senso più realistici. Comunque un soggetto che mi ha colpito in modo particolare, vado quasi sempre a fotografarlo più volte, individuando questi momenti diversi proprio per avere una visione completa nelle varie situazioni di luci.

Grazie di cuore, Elisa, di essere Nessuno. 

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