Valdazze, una mostra di Davide Rabiti
A Forlì servirebbero più cavalli di Troia affinchè si possano manomettere definitivamente i gangli che la tengono chiusa nella dimensione che si è e che le hanno affibbiato.
Il mio rapporto con Forlì si è interrotto circa 15 anni fa, quando cioè mi trasferii a Rimini. In questi 15 anni Rimini si è rifatta il trucco, si è fatta più bella ma è finita per essere più finta. Forlì il trucco non lo si è rifatto per nulla ed è rimasta una sorta di stratificazione di fondotinte, rossetti, ombretti tutti uno sopra l'altro. A volte sembra di essere di fronte ad una città che non vuole o non sa o non capisce quale direzione prendere.
Ma l'ho trovata viva, vitale, multietnica (e quindi ricca) ma malata. Malata nell'atavico morbo che alimenta da generazioni il forlivese che si rifiuta di vivere, e non sembra intenzionato a farlo, la propria città e gli spazi che offre. Forlì è un immenso spazio non occupato dalla cittadinanza.
Forlì è una città che parla, parla molto dai suoi muri, lancia gridi goliardici, anarchici, rivoluzionari, volgari, populisti, idealisti. Ma parla troppo agli altri e poco a se stessa. Parla troppo a chi passa e poco a chi ci vive.
Gli anticorpi da inserire dentro al cavallo di Troia dovrebbero essere gli stessi che animano un gruppo di uomini che riescono, nel loro piccolo, ad occupare e ridare vita a scampoli di città facendo fiorire gli androni di un condominio.
Oggi ho visitato una piccola mostra fotografica, fatta con amore, la mostra si intitola "Valdazze" e l'ha pensata, scattata ed allestita l'esimo Sig. Rabiti Davide che ama la sua città. E assieme a lui la amano i suoi amici che riescono ad essere catalizzatori di cervelli, occhi, braccia e pensieri in grado di rendere la città un po' migliore.
Questa piccola mostra, allestita in un androne di un condominio colorato ed ordinato come pochi ne ho visti in vita mia, racconta di Valdazze, un progetto fallito, ambizioso come un sogno ma irrealizzabile come un'utopia, racconta come le piccole cose ancora possano stupire ma soprattutto UNIRE.
Bravo Davide.