NESSUNO n. 6 - Andrea Romanelli

© Andrea Romanelli
Il Nessuno n. 6 è un fotografo che riempie i selfie di ironia: Andrea Romanelli da Godo.

1- Prima foto postata su Facebook: 11 ottobre 2008. Il selfie di un giovanissimo e stralunato Te fa capolino sul web. Continui a ritrarti nel corso degli anni, sono autoritratti lontanissimi dall'ottica social, sono foto profilo come la foto sulla carta di identità, solo che questa è un'identità digitale. Cosa ne pensi di questa tendenza all'autoritratto che tende sempre meno ad essere "auto" ma sempre più specchio di una identità idealizzata? Perché i tuoi selfie rimangono così distanti da ciò che vorrebbe il web?
Nel 2008 ancora non avevo la percezione di quanto la fotografia mi avrebbe colpito pochi anni più tardi.
Non ho mai avuto un gran rapporto con la mia immagine e poche volte ho provato a costruire in modo serio un autoritratto, con risultati insoddisfacenti per altro.
Mi pare di vedere molta omologazione su internet e in particolare sui social, ma penso che sia proprio la dinamica del “trend” che spinge in questo senso. Chi cerca i grandi numeri si adatta a certe regole, e gli algoritmi favoriscono chi fa grandi numeri.
Gli “autoritratti” miei che trovi sul web sono principalmente istantanee, non sono foto pensate per la rete; magari vanno on line perché mi hanno colpito in qualche modo, di solito perché mi fanno sorridere.
Davvero dovrei pensare che il web si aspetti qualcosa da me? Non credo.
 
2- Parti col digitale, poi ad un certo punto senti il richiamo della pellicola e della "Polaroid". Inizi a sviluppare e a stampare in Camera oscura. La camera oscura per te è un processo totalmente svincolato all'atto fotografico. Nonostante ci abbiano sempre menato l'anima che l'edizione è un processo inglobato nel processo fotografico, come mai senti questa frattura fra il carpire la foto e renderla un oggetto visibile?
Essendo un fotoamatore e non avendo scadenze, tendenzialmente passa abbastanza tempo tra la ripresa e l’editing. La differenza più grande è che col digitale si può avere immediatamente un’idea del possibile risultato.
La camera oscura è un luogo quasi mistico, il processo di stampa a partire dalla provinatura mi rapisce totalmente, bisogna fare delle scelte, parecchie, e non si torna indietro, è un’esperienza molto formativa e soddisfacente che non pratico quanto vorrei purtroppo.
Quando si scatta una foto si tenta di rappresentare un’idea, una sensazione, un’atmosfera o un fatto o magari semplicemente di avere un ricordo.
Quando si stampa, invece, si produce un oggetto, in questo senso vedo la frattura.
Entrambe le cose fanno parte del processo fotografico ma potrei stampare con piacere fotografie non mie, come per altro capita alla maggior parte dei veri fotografi che non stampano da soli le proprie foto.
Le polaroid invece fanno storia a sé. Danno la possibilità di avere in un attimo una stampa tra le mani, una specie di miracolo. Quella stampa è un ricordo da curare e custodire, una volta che lo hai tra le mani te ne devi assumere la responsabilità, non è volatile.
 
© Andrea Romanelli
3- #sagnirò è un bellissimo tag il con quale raccogli su Instagram le foto della tua terra d'origine. Con esso cerchi di ancorarti al tuo passato, taggare il filo del discorso, della tua terra, dei tuoi viaggi verso casa. Percepisco da queste foto un filone di viva nostalgia. Ti aiuta fotografare per non dimenticare? O è più una riscoperta di una bellezza oramai percepita come lontana e quindi nuova? La distanza, il disabituarsi, aiuta a rinnovare la visione del paesaggio?
#sagnirò temo che abbia a che fare col tempo piuttosto che col paesaggio.
Sono foto che raccolgo da un po' e che mi fanno ricordare certe sensazioni di quando ero ragazzino.
Un po’ di nostalgia c’è, ma non rispetto al luogo, cambiato pochissimo per altro.
Piuttosto c’è nostalgia per il tempo passato lì da bambino e da ragazzo.
Certi profumi, certi scorci e certi panorami non li sento persi, forse si è perso il ragazzino che ci sguazzava dentro e fotografare mi aiuta a ricordare.
L’immobilità di quei paesaggi, di quel mucchietto di case, di quelle colline fanno da sfondo al tempo che passa e la cosa che cambia più di tutto col lento e inesorabile passare del tempo sono le persone, che evito di riprendere.
Ogni foto che scatto lì pare uguale a vent’anni fa ma le persone no, io no, i bimbi sono cresciuti, i vecchi sono morti, gli adulti sono invecchiati, dei figli sono nati.
La distanza nel mio caso non rinnova la visione del paesaggio. 
Credo sia il tempo a cambiarci e di conseguenza cambiano percezioni, la visione del paesaggio e più in generale del mondo. 
Queste fotografie credo valgano molto di più per me perché chi le osserva difficilmente può coglierne l’essenza, non credo di essere così bravo da riuscire a trasmettere all’osservatore tutta la stratificazione che ci vedo io e in fondo non è nemmeno nelle mie intenzioni, ognuno può vederci quello che vuole. 

 
© Andrea Romanelli
4- Hai iniziato anche un'altra serie che a mio avviso potrebbe far concorrenza alla pubblicità dei diamanti: #unpaloèpersempre è per me un inno, una vera e propria accettazione dei difetti del paesaggio. Insomma, passiamo notti insonni e spendiamo centinaia di euro in programmi di fotoritocco per rendere le foto perfette e togliere pali dalla testa, e tu quei pali li cerchi e li rendi protagonisti. Spiega un po'?
Hanno corrotto anche te.
Ma perché un palo sarebbe un difetto? Lotto pacificamente ma convintamente per la dignità del palo in quanto parte integrante del paesaggio e strumento indispensabile alla crescita della società e al miglioramento della qualità della vita.
Sui pali si trasporta la corrente elettrica, le linee telefoniche; sui pali mettiamo antenne con le quali comunichiamo. Senza pali che sorreggono i cavi dovremmo viaggiare ancora sui treni a vapore, no?
Senza pali a mettere le luci dei lampioni per terra, e di notte la luce ci accecherebbe e aumentando gli incidenti stradali e la spesa sanitaria pubblica.
A parte l’illuminazione di cui ho già parlato anche la segnaletica sarebbe quasi impossibile da utilizzare, senza i pali ci sarebbe l’anarchia nella peggior accezione del termine.
Hanno anche una valenza estetica secondo me, non meritano il trattamento che ricevono.
E’ uno strumento che ci ha cambiato la vita in meglio e i fotografi lo riducono a un difetto.
Non lo posso accettare.

5- Rumagna b Side e Bisioni sono due lavori che hai esposto qualche anno fa a Novafeltria (RN) all'interno di Semplicemente Fotografare Live. Per un fotoamatore che è abituato a raccogliere immagini quando capita, dove capita e come capita deve essere dura a trovarsi a fare i conti con la messa in sequenza che una mostra esige. Come hai affrontato questo passaggio mentale di pensare alle fotografie come un corpus unico anzichè frammenti singoli? 
Rumagna – B side è la sintesi di anni di fotografie che ho iniziato a prendere da quando mi sono trasferito in Romagna e che ancora continuo, molto lentamente, a raccogliere. Questa terra che mi ha accolto non è fatta solo della “Romagnolità” festosa, irriverente, folkloristica, dei luoghi comuni.
Mi ha colpito quella vena malinconica più o meno celata che non mi aspettavo di trovare.
Quelle atmosfere che ho scoperto nelle poesie di Raffaello Baldini e nel libro fotografico capolavoro “Rimini” del compianto Marco Pesaresi.
In questo caso la cosa più difficile è stata la selezione delle immagini, ma diciamo che molte foto sapevo già che le stavo scattando per questa serie.
\Bisioni invece è nata per caso, mentre stavo preparando alcune foto per la stampa mi sono accorto che un paio le vedevo bene insieme, si parlavano in qualche modo anche se scattate in luoghi o per motivi completamente diversi; ho cercato di capire se ne avevo altre e grazie all’archivio e a qualche sinapsi è uscita fuori la serie.
Da fotoamatore con gli impegni familiari e lavorativi non mi capita spesso di uscire con l’intento di fotografare, ma negli anni ho cercato di evitare di fotografare tanto per fotografare.
Se non ho già un’idea precisa, cerco comunque di scattare pensando già a quale collocazione potrebbe avere quello che vado a riprendere; è un approccio che credo possa aiutare poi a editare, a scegliere le fotografie da stampare.
Delle volte “fotografo” anche senza macchina fotografica, con la mente, per tenere occhio e cervello svegli.
In ogni caso credo che i lavori migliori siano quelli che nascono quando c’è qualcosa da dire o che quantomeno ci interessa o tocca profondamente.
Mi sono promesso di realizzare un lavoro sulle piadinerie entro la pensione.
 
© Andrea Romanelli

6- L'oggetto fotografia mi sembra abbia ancora una grande valenza per te, altrimenti non spenderesti 20 euro per 10 pellicolle instant. Spesso posti sui social la foto digitale della Polaroid stessa. La foto dell'oggetto foto. In realtà è una domanda seria ma mi spieghi il motivo di questa malattia mentale?
Con questa “malattia” non tento di mettere in relazione "l’oggetto foto" con "l’oggetto della foto".
La foto della foto serve a sottolineare la materialità della fotografia che poi possiamo anche rendere volatile; in un click raggiungiamo chiunque ma altrettanto velocemente rischiamo di perderla tra milioni di altre immagini.
Penso che la fotografia sia letteralmente tale solo quando diventa una stampa.
Il resto sono “quasi” fotografie, immagini volatili che in gran parte perderemo se pensiamo a lungo termine.
Non sono estremista e capisco che certe immagini hanno senso di esistere anche solo a livello digitale visti gli strumenti che usiamo in questo momento storico, ma quella che interessa me è la fotografia stampata che si possa toccare ed osservare da vicino.
Trovo preoccupante la leggerezza con la quale affidiamo i nostri ricordi alla rete, e temo che gran parte di questa immensa mole di immagini scomparirà in una sorta di oblio.        
Una manna, in questo senso, sono i libri fotografici (ma anche gli album), che siano di autori universalmente riconosciuti o semplicemente fotoamatori.
 
7- Sei un fotografo di paesaggi. Nelle tue foto, anche quelle urbane, regna un’atmosfera sospesa, silenziosa ed inerte quasi attendessi l’attimo nel quale tutto lo spasmo del mondo si faccia da parte. Questa scelta stilistica riflette la tua interiorità o è il riflesso di un certo tipo di iconografia dal quale ti sei abbeverato e l’hai fatta tua?
Partiamo dal presupposto che io da grande volevo essere William Klein e sono diventato tutt’altro; principalmente perché sono lento e non sono a mio agio nell’invadere lo spazio vitale altrui.
Preso atto di questo, ho scoperto nel tempo che la dimensione nella quale mi trovo meglio insieme alla mia lentezza è quella di certe atmosfere sospese, rarefatte, dove possibilmente il tempo si dilati; diciamo che mi ritrovo nella definizione di fotografo di paesaggi in senso lato.
Sicuramente ho subito il fascino di tanta fotografia statunitense: Shore, Meyerowitz, Eggleston e Hido per citarne alcuni, ma non credo che le mie scelte stilistiche dipendano solo da questo.
Il motivo per il quale tendo a cercare certe situazioni è che, mentre le cerco, vivo una sorta di catarsi, riesco a liberare la mente, a riappropriarmi del mio respiro, a rallentare i battiti ed entrare in sintonia col luogo dove mi trovo.
Questo mi fa sentire bene, indipendentemente dalla produzione di qualche buona fotografia.

Grazie di cuore, Andrea, di essere Nessuno. 



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