NESSUNA n. 7 - SIMONA DEL MONACO

© Simona Del Monaco - Rh Negativo
La Nessuna n. 7 è una fotografa che diventerà famosissima: Simona Del Monaco da Santarcangelo di Romagna.

1- Negli ultimi giorni ho passato diverso tempo a guardare le foto che mi hai mandato. E’ lampante come tu ti possa definire una "fotografa di relazioni". Le tue immagini migliori sono dei veri e propri tessuti di legami. Per un fotografo stare in equilibrio su queste interazioni non deve essere semplice. Come stabilisci la giusta distanza?
Quando scelgo un posto o delle persone da raccontare, cerco sempre di andare più vicino possibile. Il limite, la distanza, di cui giustamente parli tu, non la stabilisco io ma chi ho di fronte. Se una persona non ha piacere che vada troppo “vicino", io lo percepisco e non la forzo. Se al contrario c’è apertura mi posso avvicinare. In ogni caso, mi è capitata sia l’una che l’altra situazione, do sempre il massimo e ogni progetto che ho vissuto mi ha arricchito tanto. Quando si frequenta con continuità un luogo e le persone che ne fanno parte, si crea inevitabilmente una relazione con entrambi. Più o meno profonda, più o meno facile, più o meno spontanea. In queste occasioni non sono diversa da come sono di solito, sono semplicemente me stessa. Con lo scorrere del tempo, le fotografie e il gesto del fotografare diventano parte della mia presenza ed è allora, quando le persone si abituano, che le fotografie riescono a raccontare meglio quello che vedo e che vivo.

2- Il tuo percorso fotografico parte con “Rh negativo”, un viaggio dentro i sentimenti più puri. Intimità, complicità, amore, non c'è traccia di vergogna o di remora, sono immagini nude ed autentiche in quanto parli del legame fra le tue figlie. Quanto si rivedono loro nelle tue foto? E tu cosa hai percepito di loro che senza fotografia non avresti conosciuto?
""Rh negativo” mi accompagna da quando sono nate le mie figlie. Il mio legame con loro è profondo e viscerale, perché con i figli è così. Profondo e viscerale è il mio legame anche con le fotografie che ho scattato loro. Anna e Bianca a volte mi vorrebbero prendere a testate perché sono nel mio mirino da sempre, di sicuro non usano le mie fotografie come foto profilo, sono fatte da una boomer, a volte si divertono, a volte non si accorgono di nulla. Ancora non sono consapevoli del valore che hanno queste fotografie e forse non hanno ancora compreso che non parlano solo di loro due. Parlano tantissimo anche di me e spero che un giorno mi ci ritroveranno dentro.
La fotografia in questo caso è stato uno strumento per raccontare quello che so di loro e del loro legame, per fissare parte di quel qualcosa che con il tempo, inevitabilmente, si perde.

©Simona Del Monaco - Musa e Minerva
3- Dopo “Rh negativo” rivolgi l’occhio all’esterno e nascono, nel giro di qualche anno, “Musa e Minerva”, “Carpe Diem” e “Ci vuole un fiore” che fanno parte di una trilogia nella quale documenti piccole realtà lontane dall’ordinario. Ci riporti oasi di pace nelle quali il filo conduttore è (forse) il ricollegamento alla natura ed ai suoi bioritmi. Le tue foto si nutrono di un’area di intoccabilità come se i protagonisti avessero fatto un passo indietro dalla realtà per ritrovare o rimanere in contatto con se stessi. Ci parli dei lavori e del motivo che ti spinge a ricercare queste attività?
Ho cominciato con Musa e Minerva nel 2019. Cercavo un maneggio, volevo regalare ad Anna una passeggiata tutti insieme a cavallo. Mi sono innamorata di questo posto appena ci ho messo piede e mi sono piaciute moltissimo anche le persone che lo abitano. Dopo sei mesi ho chiamato Alice, la proprietaria del maneggio, per chiederle se potevo fare loro delle fotografie. Sono stata accolta con affetto e gentilezza. E’ stata un’esperienza che umanamente parlando mi ha dato molto e mi ha fatto scoprire il mio interesse per le fotografie di “relazione”, come le hai definite tu. Mi piace tornare e tornare nello stesso posto e mi piace farlo nel tempo. Certo è stato impegnativo ma solo dal punto di vista della logistica, trovare il tempo non sempre è facile. Questo tipo di difficoltà mi ha anche costretto in qualche modo a cercare vicino a me. Devo dire che non è stato difficile trovare persone e luoghi che mi potessero emozionare (anche perché soffro di una rara forma di entusiasmo precoce). Poi c’è stato Carpe Diem e poi Ci vuole un fiore. A quel punto è stato piuttosto evidentemente il mio cercare situazioni in cui uomo e natura si mischiano. Forse perché mi restituisce armonia, forse perché mi sembra che le persone siano più felici tra fiori, prati e animali. Io di sicuro!

4- Vorrei parlare con te di formazione. Noi fotoamatori tendiamo a formarci poco, spesso su internet, ci piace scattare e siamo ammaliati dal feticcio tecnologico. Tu invece hai iniziato un percorso molto serio presso Spazio Labò che ti impegna dal punto di vista del tempo e dell’impegno ben prima di maturare l’idea di diventare professionista. Perché formarsi e quanto è difficile farlo bene?
Ci sono fotoamoatori che studiano poco o che studiano tanto così come ci sono professionisti che studiano poco o che studiano tanto. Dipende sempre e solo dalle persone, da come sono fatte. Quando ho cominciato, di fotografia non sapevo nulla a parte il fatto che ne ero molto attratta. Adesso posso dire di saperne di più così come posso dire che quello che ancora non conosco supera di gran lunga quello che conosco. Ho cominciato con semplice un corso di fotografia serale di base. Ricordo che allattavo mia figlia di 4 mesi, andavo al corso e poi la riallattavo quando tornavo a casa. Formarsi è sicuramente importante sotto tanti aspetti ma la cosa che in assoluto mi motiva di più a farlo è in realtà molto semplice: mi piace un casino! Detto questo, non è comunque facile fare un percorso di formazione. E’ piuttosto complicato incastrare l’impegno delle lezioni con il mio lavoro e la mia famiglia. Inoltre, l’offerta formativa è piuttosto limitata al di fuori di Milano o Roma. A Bologna, con Spazio Labò, mi sono trovata benissimo.

© Simona Del Monaco - Casa
5- “Casa” è un lavoro che hai realizzato durante il lockdown. Immagini lente, decantate dal tempo che lasciano in bocca serenità e non inquietudine. Ancora parli di legami che forse sono gli unici che contano nei periodi di difficoltà. Sembra tu abbia una sorta di propensione nella ricerca dell’invisibile tramite il visibile. Una fotografia che muove spesso le leve empatiche. Quanto questo riflette la tua personalità e quanto invece è frutto di studio?
Proprio in questi giorni sto riflettendo sulla lentezza, o meglio, sulla velocità che la maggior parte di noi vivono ogni giorno. C’è qualcosa che non torna in questa nostra quotidianità ricca di fare ma allo stesso tempo, povera "del gusto” di fare. Spessissimo non ce n’è il tempo. “Casa” è nato in un periodo straordinario, dove lo spazio e il tempo hanno assunto una connotazione diversa da quella a cui eravamo abituati. Ho potuto provare quel gusto, quel piacere che si prova quando si vive una bella esperienza e si ha anche il tempo di diventarne consapevole. Non mi fraintendere, il Covid e il Lock down non sono di certo state una bella esperienza. Ho avuto però la fortuna e il privilegio di poter comunque sperimentare, nel mio piccolo, qualcosa di intimo e di piacevole nonostante tutto quello che succedeva fuori dalla porta di casa. E l’ho vissuto grazie alle mie figlie.

6- Parliamo di libri. Quali sono quelli che ti hanno formato maggiormente. O che ti sono rimasti più impressi?
Il primo libro di fotografia che ho letto è stato “Storia della fotografia” di Newhall. Quando me lo prestarono pensai subito che non lo avrei mai letto, che sarebbe stato troppo noioso. Mi sbagliai, lo lessi in pochi giorni e mi piacque moltissimo. Mi ha aiutato a capire che non ero solo attratta dalle immagini ma anche da quello che ci stava dietro, o attorno. Un altro libro che mi è piaciuto leggere è stato “L’errore fotografico” di C. Chéroux che spiega il concetto di fotografia analizzandolo attraverso gli errori. Un punto di vista diverso, molto stimolante. Mi sono parecchio divertita con “Figure” di Falcinelli in cui viene raccontata la storia delle immagini, dal Rinascimento ad oggi, e del perché funzionino (quando funzionano). Ho comprato diversi libri di fotografia, alcuni mi sono piaciuti e serviti, di altri non ho superato nemmeno il primo capitolo. Uno di questi spiegava la semiotica della fotografia. Dai, dicamo che ho voluto fare la sburona e che ho fallito miseramente dopo dieci pagine! Per quanto riguarda i libri fotografici, il mio primo amore è “A period of Juvenile Prosperity”, nel quale l’autore, Mike Brodie, racconta il suo lungo viaggio in compagnia di amici, saltando da un treno all’altro e percorrendo più di 50 mila miglia all’interno degli States. Un altro libro che porto nel cuore è Waldviertel di Carla Kogelman perché racconta due sorelle, il loro legame, il loro stare insieme, il luogo in cui passano le vacanze estive. Sfogliando il libro, le vedi crescere. E’ stupendo e mi ha molto ispirato nel fare fotografie alle mie figlie. Infine, c’è lui, Luigi Ghirri. Non ho libri di fotografia suoi purtroppo e non c’è nemmeno bisogno di dare spiegazioni. Ghirri è Ghirri.

Grazie di cuore, Simona, di essere Nessuna.

Post più popolari