NESSUNO N. 3 - GREN OUILLE

© Gren Ouille
Il Nessuno n. 3 ingaggia interessanti colloqui col Sole. Gren Ouille da Rimini, al secolo: Giuliano Semprini.
 
1-Osservando le tue foto ne esce una grande protagonista: La luce. Ecco il soggetto, che avvolge corpi e pensieri. Come hai imparato a gestirla?
La luce detta l’umore, definisce le cose e le persone, indirizza la lettura dell’immagine. Il controllo della luce, unitamente alla composizione è la fotografia. Immagina un palco di un teatro: luci laterali filtranti e poi una luce spot nel mezzo. Ecco, lì nel mezzo puoi far succedere quel che vuoi. Ma prima ancora c’è la trama.
Ho studiato un po' la luce artificiale per capire meglio la luce naturale Per quattro, cinque anni ho partecipato a svariati workshop pratici sulla luce. Iniziai nell’agosto del 2007 in uno studio a Milano: fondali, ventilatori, macchine per il fumo, potentissimi flash con softbox di tutte le forme, mille accessori. Fu bellissimo. L’idea di poter controllare la luce mi affascinò. Un workshop in una spettacolare villa storica a Roma mi diede altri spunti. Il Master amava le location “fighe” e l’improvvisazione. Si usavano solo luci artificiali fisse che scaldavano come fornaci. Le gelatine davanti alle luci creavano effetti teatrali meravigliosi in ambienti meravigliosi. Teatro, circo e tanta immaginazione. Il bello delle luci fisse è che ti puoi godere la scena. La modella è dentro il film con te. Le luci flash sono una storia tutta e solo del fotografo. Poi dal 2009 iniziai a fotografare “in proprio”.
 
2- Si può dire che il rapporto che si instaura fra il fotografo e il fotografato sia un sottile equilibrio? Quali limiti ti imponi quando fotografi (se ti imponi dei limiti)?
La ritrattistica è una forma artistica invasiva, di una violenza inaudita per il fotografo e per il/la modello/a. Io non ho mai dormito la notte prima di una sessione. Sul tavolo si mette tutto: timidezza di entrambi, intimità, sguardi fuori luogo, difetti fisici accettati e non accettati, aspettative di entrambi, quel che è permesso e quel che non è permesso. Ho sempre preso il rischio di lasciare due terzi del lavoro alla spontaneità, fuori dalla costruzione. Una pretesa pericolosissima. Non ho mai scattato per denaro e solo un paio di volte ho corrisposto un compenso. Non per tirchieria, solo perché il denaro sporca tutto. Fotografo e modella devono avere qualcosa in comune, intellettualmente intendo. I limiti quindi non me li impongo, sono oggettivi. Il ritratto fatto in questo modo non è “reportage della domenica”, è roba seria.
 
3- Dalle tue fotografie esce il ritratto di una femminilità delicata, quasi accennata. Ed in questo senso ti poni in netta antitesi con i dettami iconici dei nostri tempi.
Amo quello che è in potenza, appena abbozzato, che noti solo da una precisa angolazione. Scindo sempre femminilità e sessualità. Fotografo la prima. Altra cosa: le distanze sono importantissime, permettono di vedere e capire meglio.
La gestione della distanza è tipica di un corteggiamento infinito. È una ricerca costante dell’intesa, cercando di non spezzare mai la corda e mantenendo la tensione al punto giusto. Se accorci sempre la distanza fai “altro”, saltando passaggi fondamentali, non rispettando il soggetto o non capendolo. Rischi di essere presuntuoso, di sapere già tutto e, quindi, il rifiuto.
 
4- Ho come l'impressione che la modella sia il punto di incontro fra il tuo paesaggio interiore e il paesaggio esteriore, il medium che mette in collegamento te col tuo attorno. E' giusta questa interpretazione e in tal caso, adotti una tecnica per mettere tutto e tutti in allineamento col tuo pensiero?
Ho la necessità che la modella entri nel mio film, nella visione. Le modelle preferite sono quelle che sono diventate me e sono entrate nella visione. Quando ci sono riuscito probabilmente il film aveva una buona trama. Si sono fidate. Perché la fiducia non ti viene data per caso. Mi immedesimo tantissimo in chi è dall’altra parte dell’obiettivo. Se vuoi ottenere qualcosa devi essere chiaro, credibile e il tuo volere dev’essere condiviso. A volte ci sono riuscito, spesso no. I risultati di questo approccio nella fotografia di ritratto sono lampanti. Ma anche in altri generi di fotografia. La relazione con il soggetto è fondamentale e questo non significa conoscerne ogni particolare e affondare in conoscenze enciclopediche, dettagliate. Credo che dobbiamo abituarci ad ascoltare noi stessi ed il soggetto. Poi, se necessario, si scatta. La bulimia fotografica è una malattia tremenda. Ti fa ingurgitare di tutto senza tregua, senza gustare e senza rispettare soggetto, fotografia e te stesso. Sulle schede di memoria dovrebbero scrivere “la fotografia uccide” come sui pacchetti delle Marlboro.
 
5- Quando fotografi per strada ho la sensazione che la scena ti cannibalizzi. Contrasti accentuati, silhouette, corpi che si alternano fra il denso dei neri o che svaniscono nel candore dei bianchi. (Quali problemi psicologici hai? Scherzo eh!). La vedi così feroce la quotidianità?
La premessa è che si fotografa perché si vuole dire qualcosa. La nostra cultura (cattolica) ci porta spesso ad alzare la mano solo quando qualcosa non va.
La quotidianità è la normalità. Nella normalità spesso non succede nulla o non si percepisce nulla. I contrasti servono per invitare a concentrarti. E’ un alzar la voce.
 
6- Il mare d’inverno che tanto amiamo non può essere solo una questione da bastian contrario. È uno stato di fatto ed uno stato d’animo. Secondo te perché il tuo mare è diverso da quello degli altri? O perché (se è uguale) lo si continua a fotografare (un po’ come i tramonti)?
Parlo da riminese. Il mare d’inverno prima di tutto è un grande polmone. Ed è anche una pregevole palestra fotografica.
Da queste parti il caos urbanistico è disarmante. Abbiamo riminizzato l’intero territorio. Un fotoamatore italiano può fotografare il più classico dei paesaggi quasi dappertutto, basta allontanarsi un po' dai centri abitati. Qua no. Anche la campagna da queste parti non offre spazi naturali privi di tralicci e capannoni.
Il mare d’inverno non dà molti punti di riferimento. Non è facile trovare il “soggetto principale”. E qui viene il tema della palestra, nel senso che in un posto vuoto nel quale ci sei tu e poco altro il lavoro si può concentrare sull’immaginazione e sulla creazione. Ho pochi elementi, con questi devo fare.
Poi ci puoi fare anche reportage. Puoi fotografare le microplastiche restituite dal mare, puoi ritrarre le posture dei ciclisti che traguardano sul porto canale. La dimensione credo sia sempre immaginifica. Quindi se questo è il modo con cui si fotografa il mare d’inverno come può il mio essere uguale al tuo?
I tramonti sono un altro film. Fanno parte della suggestione collettiva. Di fronte ad un bel tramonto abbiamo la reazione che si può avere di fronte ad un tenero gattino o ad un bebè.
Azz, sembra l' intervista di uno che fa davvero. Dovresti chiuderla così: "Ma chi sei La Sciapel? Adesso guardiamo ste gran foto. Anzi: La Sciaperd". 

Ti ringrazio di cuore Gren Ouille di essere Nessuno. 
 
 

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