Antropocene - MAST Bologna


Esposta gratuitamente fino al 05 gennaio 2020 (se avete una giornata libera e amate il nostro pianeta o più semplicemente la fotografia) la mostra Antropocene al MAST di Bologna è praticamente tappa obbligata. Il MAST è una felice isola "innovativa" e multimediale sita nella periferia bolognese in Via Speranza 42. 

Non si può rimanere indifferenti alle immagini, è praticamente impossibile sia per il formato (enorme) sia per i contenuti (drammatici). Per quello che mi riguarda, già dai primi istanti non posso fare a meno di eseguire un parallelismo fra questa mostra  e "Genesi" di Salgado. Il parallelismo nasce per un mio personale accostamento in antitesi, alla natura delle mostre stesse, antitesi non stridente, anzi, a completamento naturale della medaglia sulla quale viviamo. 
E' un accostamento ardito che mi è venuto spontaneo. Se Genesi è l'inno del pianeta come elemento vitale, fecondo, fertile, generatore potente e prepotente di vita e di bellezza, l'ormone della forza generatrice attraverso il quale il "concepimento" del mondo naturale irrompe agli occhi, l'eleganza e la lussuria della natura, Antropocene è il risvolto della contaminazione, la corruzione della purezza, l'opera degeneratrice, è il freddo meccanismo dello sfruttamento e della decostruzione, l'opera corrotta e dissolutrice dell'uomo che opera contro natura per mere pulsioni economiche.
Se Salgado vede l'uomo come parte dell'ambiente naturale, Burtynsky, Baichwal e De Pencier lo vedono come un essere avulso dal mondo naturale del quale appartiene ma ha smesso di farne parte. La terra non è una culla generatrice ma un letto dentro il quale viene perpetuato il più grosso tradimento della specie. E sarà per le immagini monumentali, che Salgado orientato verso la bellezza del creato e Burtynsky verso la brutalità della distruzione, trovano un punto di incontro nel fattore scatenante della documentazione come impatto emotivo che corre forte lungo la schiena grazie da una forma spettacolare e solenne.
Antropocene è un progetto maestoso, che lascia poco spazio all'immaginazione, pochi margini di manovra, mette con le spalle al muro. Ma al contempo non giudica: la freddezza delle didascalie, dei numeri, dei filmati, della realtà aumentata, ci mette di fronte al fatto compiuto e che si sta compiendo, ci opera di cataratta, restituisce una visione estetica ma cinica della condizione di Homo Stultus, ci mostra lo scontrino dello stile di vita della parte sviluppata del globo. Antropocene non rappresenta una condanna: è solo il prezzo.

Le immagini si vestono di una perfezione formale invidiabile, la luce viene gestita cercando e trovando situazioni di grande uniformità, non abbiamo praticamente mai grandi sbalzi tonali, poche ombre e molto aperte, nonostante i toni drammatici dei contenuti la post non segue tale drammaticità, la drammaticità risiede tutta nei contenuti o in ciò che sottendono, i colori sono vividi con una scelta di "tutto a fuoco" che sinceramente apprezzo nel profondo e si addice perfettamente alla tematica, la nitidezza e la leggibilità della intera immagine consente all'occhio di correre su tutta la superficie della scena che equivale a correre su tutta la superficie del globo, non c'è costrizione, non ci sono strade obbligate, l'autore sembra dica: "Guardate tutto, guardate nei minimi particolari, nella singola via, nella singola casa, nelle singole storie come mattoncini che creano una trama a perdita d'occhio, guardate nel particolare per scorgere un insieme di particolari che creano un tessuto generale che racconta le peculiarità di questa epoca, perdetevi a cercare il singolo per capire il Tutto.." e in effetti l'occhio non fa altro che entrare ed uscire quasi come se l'immagine avesse più livelli di comprensione e non fosse bidimensionale bensì avesse una profondità trasversale. Questo meccanismo di visione viene implementato anche grazie alla possibilità di utilizzo della realtà virtuale che attraverso tablet che possono essere presi a prestito in loco o attraverso il proprio device personale ci consentono di ampliare la nostra esplorazione visiva e sensoriale. 

Significativo è il test finale nel quale si chiede al visitatore di indicare su uno schermo touch il proprio stato d'animo dopo il percorso espositivo. La maggior parte delle risposte selezionate è: "triste"o "rassegnato", pochissime invece (e per fortuna) "indifferente" o "felice". Ma ciò che fa riflettere maggiormente è come si piazza la risposta che dovrebbe essere ritenuta la migliore: "determinato". Quel determinato che rappresenterebbe la voglia di riscatto, il cambiamento, la presa di coscienza che tutto non può durare con tali ritmi, tali sprechi e tali indici al rialzo della produttività e del consumo, l'incanalamento positivo della incazzatura. Ebbene: quel determinato si posiziona in basso (mi sembra di ricordare un 18%). Ecco: nonostante tutto, nonostante l'allegro viaggio verso l'impoverimento delle fonti di sussistenza primarie dovuto ad una ragione prettamente di profitto, la fetta dei visitatori che dichiara di possedere le forze o semplicemente la volontà di cambiare le cose, magari anche con gesti che implichino un ventaglio di comportamento che va da "modifiche" a "rivoluzione" nel modo di intendere il consumo del prodotti, è una minima fetta, sommersa da chi rassegnato spera di morire prima che il nostro globo divenga invivibile o schiacciato dal peso di coloro che sono tristi e si deprimono. Il sentimento di reazione è in minoranza. E finchè rimarrà tale: buon viaggio.




Immagini enormi a rimarcare l'estensione della metastasi.

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