Un ricordo

Il tempo è un bravo mago. Perchè nel suo perpetuarsi e nel suo scandirsi rassicura falsamente un moto continuo ed uguale al precedente. Il tic di un secondo è simile al precedente e uguale al successivo tanto da lodare una continuità nei paraventi immacolati dell'eterno. Cosa che naturalmente non è.
Il fatto di essere posti dinnanzi ad un cambiamento è un piccolo terremoto quotidiano che sposta non solo la percezione del mutamento di ciò che è attorno ma anche di ciò che è in noi.
La mia abitazione si trova a qualche chilometro dall'autostrada, in una zone ancora definibile di campagna. Per raggiungere la città vi sono 2 opzioni: la classica statale intasata oppure una via più lunga e scomoda che si snoda fra campi arati parallela ed attigua alla autostrada.
La mia indole mi porta a percorrere maggiormente questa seconda via, una via fatta ancora di punti di riferimento, una via personale dove s'incontrano la Grande Quercia, il piccolo alimentari, lo scheletro dello stesso albero sul crinale di una collina, il carcere, le solite buche sull'asfalto che ormai si sono imparate ad evitare. Proprio alla fine di questa strada vi è una piccola salita che va a confluire in una delle poche arterie che portano il traffico dentro Rimini. Questo tratto finale incarna l'ultimo respiro di pace prima di immettersi nel traffico e lo fa con una grazia degna del passato, quasi poetica, la strada infatti si incunea fra i muri di contenimento di una collinetta, muri che non hanno nulla del maledetto fiato fetente del grigio cemento armato bensì muri di pietra che portano in se non la perfezione geometrica della colata bensì il rigore artigianale della imperfezione. Muri che trasudano di lavoro e non di tecnica, muri che s'inseriscono nel territorio con la stessa eleganza della natura. Il muro di sinistra era un piccolo capolavoro, alla sommità dello stesso si ergevano 4 pini dalle chiome folte e schiacciate, che in particolari periodi dell' anno o durante il diradarsi delle brume mattutine filtavano la luce del sole in lamine calde ed avvolgenti che rimbalzavano sulle pareti calde. Percorrere quest'ultimo tratto era come abbandonare un letto caldo, ovvero aveva la stessa potenza evocatrice del benessere mattutino del riposo ma dava al contempo una senzasione di malinconia in quanto il breve tragitto era destinato a terminare in fretta e con esso la visione. Mi sono ripromesso più volte di recarmi sul posto con la macchina fotografica ed attendere anche solo una scintilla di quella bella luce ma (non me ne capacito) ho sempre posticipato con la sicurezza di trovare quella luce speciale.
Da qualche tempo sono finiti i lavori per la costruzione della terza corsia dell'autostrada, grandi lotti di terra sono stati recintati per consentire le opere connesse al cantiere e la striscia rossa dei lavori si è spinta fino al muro di sinistra. Non avrei mai creduto e nemmeno immaginato che potessero abbattere quei 4 pini. Cosa che regolarmente è avvenuta per un qualche motivo imprecisato che sfugge alle illogiche capriole di una mente poetica ma spietatamente chiare per le corse produttive di questa civiltà di cemento armato. Credo sia stato sventrato un bellissimo angolo di paesaggio, un po' come se fosse stato abbattuto un bel palazzo nel centro storico, il mio più grande rammarico è quello di non poter più godere di una tale (anche se breve) visione di pace ampliato di non aver avuto (voluto) "1/125" di tempo da dedicare ad uno scatto cullandomi in quella sorta di grande inganno che è la vita.

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