Aleksandr Rodcenko - Senigallia

Senigallia - Palazzetto Baviera
Ho sfruttato la domenica appena passata per visitare un paio di mostre alle quali tenevo in particolar modo e che vorrei condividere in quanto credo meritevoli di passaggio. La mattina mi sono recato in Senigallia a far visita al Rodcenko, il pomeriggio invece l'ho passato fra le mura del MUSAS di Santarcangelo per visionare le opere di Roberta Baldaro.

La foto del post è esempio lampante di ciò che vedrete a Senigallia: un corollario di foto storte. Scherzo eh!

Rodcenko è uno di quei fotografi per i quali ho ampia stima e sana invidia. Era da diverso tempo che desideravo visitare una sua mostra e non mi sono fatto scappare l'opportunità di Senigallia. La cornice è il graziosissimo Palazzetto Baviera in Piazza del Duca, un piccolo gioiello architettonico impreziosito dalle sale magnificamente stuccate da Federico Brandani. Si può tranquillamente dire che la mostra sia una versione "minore" di quella esposta nel 2016 in Svizzera della quale esiste un bellissimo ed esauriente catalogo in commercio. In Senigallia si possono visionare 150 fotografie esposte su due piani, senza ordine apparente, senza un raggruppamento in sezioni coordinate od ordinate, stampate dal negativo originale, solo un vago ordine cronologico ed un implicito raggruppamento per tematica (non dichiarato) scandiscono il fluire della mostra.

L'impatto non è stato trascendentale ma di questi tempi non mi sento di buttare via nulla anche se andrebbero messi in atto diversi accorgimenti che sicuramente potrebbero migliorare la fruizione della mostra da parte dell'osservatore che sparuto deve ben sapere (per i fatti suoi e preventivamente) dove andare. Diversi sono gli aspetti negativi che mi hanno colpito, innanzitutto o sai che c'è la mostra o non lo vieni certo a sapere dalle informazioni che si possono reperire in città, nessun manifesto affisso e cartellonistica pressoché inesistente a pubblicizzare o ad indicare la presenza di una mostra. Persino la facciata di Palazzetto Baviera e l'entrata sono privi di qualsiasi indicazione (almeno nella mattinata di domenica 28 ottobre) e credo non sia una buona cosa in quanto, o vai diretto perchè lo sai già in partenza o non ci capiti per caso, o lo sai o non lo vieni a sapere, ed anche una volta entrati non si brilla per chiarezza.
La mostra è divisa in 2 parti: la prima parte è al piano terra, anche qui nessun cartello che indica l'inizio della mostra, la seconda parte è al primo piano dove c'è la biglietteria, quindi prima si sale al primo piano, si fa il biglietto, poi si scende per la prima parte, poi si risale per la seconda parte, poi si ridiscende per uscire. Un po' arzigogolato ma nulla di scandaloso (ho pazienza io).
Una volta entrato in mostra mi è dispiaciuto vedere una serie abbastanza cospicua di foto non curate a dovere, decisamente troppe sono quelle imbarcate nel passpartout, distaccate tanto da essere segnate dall'ombra dello stesso, segno forse di fotografie un po' troppo "vissute", che hanno girato tanto, luce non ottimale ma a quello ci si fa l'abitudine e poi non era nemmeno pessima come mi è capitato di vedere altrove. Insomma un'ottima occasione per approcciare e farsi una idea del fotografo ma non un'ottima occasione per goderne appieno.

Gli aspetti positivi risiedono nell'opera del Nostro Rod che ritengo indispensabile conoscere. La mostra attacca con una serie di ritratti che per illuminazione laterale incutono quasi un senso di ossequioso rispetto, ritratti monumentali quasi, splendida eccezione il ritratto di Lilija Brik ripresa di lato intenta chiamare qualcuno con la mano vicina alla bocca, decisamente informale e "sciolto" rispetto ai successivi assolutamente impostati, rigorosi e vagamente incazzosi. Confesso che Vladimir Majakovskij me lo sogno la notte. Trovo decisamente splendidi e statuari i tre ritratti dei Pionieri ripresi dal basso verso l'alto che si possono ammirare in stretta sequenza nelle sale successive. Nonostante la prospettiva insolita e la distorsione dell'obiettivo, Rodcenko non sbaglia un colpo a livello formale, i ritratti paiono intrisi di una fiera maestosità nella quale ritrovo il cromosoma del popolo russo. Popolo fiero ma soprattutto fiero di essere russo. Secondo me il biglietto meriterebbe solo per questa sequenza.

Architetture, diagonali, torri, inquadrature da labirintite che si reggono magistralmente ancorandosi ai margini, utilizzo del fuori campo, rappresentano la somma stilistica di Rodcenko che trova il modo di mostrarci Mosca quasi sempre dall'alto come se fosse una sorta di natura morta o un paesaggio cristallizzato da un occhio superiore, creativo ma al tempo stesso talmente analitico da risultare spietato.

La mostra si sviluppa spolpando il boccone più ghiotto del Rodcenko più conosciuto: la tecnica e la tecnologia, la virilità del metallo, l'ingranaggio dell'automazione oliato dal lavoro umano, la replicabilità seriale, l'attenzione alla perfezione della macchina e tale approccio è simile quando Rodcenko ritrae un'altra macchina, mortale ma ugualmente perfetta: quella umana.

La mostra si chiude con una serie di fotomontaggi e progetti di copertine che dimostrano, come se ce ne fosse bisogno, della grandissima capacità progettuale e visiva che impregna gran parte del lavoro in mostra.
Da visitare. Assolutamente. 

Continua...




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