Su Vivian Maier

Smettiamo di chiamarla "fotografa ritrovata".
Vivan Maier non si era mai persa, Vivian Maier non era mai stata persa.

Ho visitato la mostra di Vivian Maier con scetticismo. Confesso che l' animo era già turbato dal pregiudizio della mia mente che fatica ad accettare tutto il romanticismo che, un’operazione che considero di puro marketing, ammanta la storia di Maier e la sua figura.
L’ho visitata per farmi un’idea, per delineare maggiormente il mio pensiero o ribaltarlo alla luce di una evidenza che mi sfuggiva.
La cornice di Palazzo Pallavicini a Bologna è decisamente suggestiva, si giunge al primo piano passando da uno scalone imponente e si arriva all’anticamera dove vi è la biglietteria e una breve presentazione dell’artista con qualche nota biografica peraltro molto superficiale. 
Visito la mostra per un’ora e mezzo circa e ne esco dubbioso, ancora di più. Ho la vaga sensazione di aver visitato la mostra di un fotoamatore, che di per se non è nulla di delittuoso ed è assolutamente vero nel caso della Maier, ma stento a ricevere le impressioni del grande fotografo, è come se qualcosa non fosse a fuoco, come se mi sfuggisse il senso del fotografare di Maier che alterna visioni oniriche a puro vissuto quotidiano a ritratti in posa a pattern urbani, un canovaccio talmente frastagliato, misto ed incompleto che mi par d'aver assistito a 10 inizi di un discorso mai portato a termine. Di questo attribuisco colpa a chi sta curando l'archivio Maier, forse più impegnato nel vendere un prodotto che curarsi di stabilire le finalità espressive della fotografa. Ancora più incuriosito ho provato a documentarmi visionando ulteriori foto, leggendo bio ed analisi critiche dell’operato di Maier. Ne viene fuori una figura ancora più sfocata, incerta, dal profilo psicologico alquanto vago che non aiuta certo a dare una giusta collocazione a Maier. Da una parte abbiamo una miriade di epiche sinossi mirate a consolidare la figura di una sempliciotta introversa dotata di un talento immenso e non riconosciuto, dall'altra qualche autore dotato di un megafono più piccolo cerca di farci vedere anche la figura di una donna forte, colta, indipendente, che aveva l'assoluta cognizione di causa di cosa stesse facendo.

Chiunque digiti "Vivian Maier" su un qualsiasi motore di ricerca sarà inondato da notizie sempre simili a se stesse, frammentarie, ricopiate l'una sull'altra riguardanti le solite 3 manfrine di genio fotografico incompreso, talento nascosto, riconoscimento postumo.
Confesso che rimango turbato da questa discrepanza fra quello che ho visto e quello che leggo, confesso che il tutto mi pare alloggiato su una base di dilettantismo misto fenomeno commerciale. E tutto ciò non è assolutamente colpa della Maier, fotografa o fotoamatrice consapevole, abile, dall'occhio allenato e dalla forte (da quello che le testimonianze riportano)  cultura fotografica, donna colta, che ha imparato le dinamiche della street photography riuscendo ad impossessarsi delle giuste chiavi visive e formali, no, quello che non mi torna è come chi sta curando l'archivio Maier sia totalmente distratto sull'operazione fondamentale di capire per cosa lo facesse, perchè lo facesse, di capire il retro pensiero di Maier o la molla che la portasse per le strade a fotografare, se semplice piacere o esigenza comunicativa.  

Non capisco nemmeno la superficialità con la quale le stampe vengono riprodotte, talvolta profondamente diverse da catalogo a catalogo, diverse da catalogo a mostra. E' un aspetto che colpisce immediatamente. Sembra tutto così buttato in fiaba che pure la coerenza diviene un aspetto marginale come un qualsiasi fotoamatore che, non avendo chiaro cosa ha in testa, fa prove, mostra la stessa foto postprodotta 5 volte in maniera differente, assembla qualche scatto riuscito in un canovaccio scritto posteriormente a giustificazione dell'assemblato. 

Il vero peccato è che Maier non ci possa mandare tutti affanculo, dicendoci che non abbiamo il diritto di guardare le sue immagini, che le mostre in giro per il mondo sono inutili, che nemmeno le foto che si è deciso arbitrariamente di stampare siano quelle che lei avrebbe scelto. Un peccato che non possa dirci: "fotografavo perchè mi piaceva schiacciare quel pulsante e mi riusciva bene farlo". 

Visitare la mostra della Maier è stato come profanarla. Ecco da dove deriva tutta la mia inquietudine, è stato come andare a scrutare un intimo che forse doveva rimanere tale, nell'intimo di un processo fotografico che forse per Maier iniziava e finiva col pigiare il tasto di scatto della Rollei senza chiedersi se un giorno fosse divenuta famosa, per il solo gusto di farlo, o per bramosia di possesso, una sorta di appagamento nell' imprigionare il referente per il gusto di farlo o per dimostrarsi l'abilità nel farlo. Ecco dove nasce il mio scetticismo: nell' essere profondamente incerto che lei volesse tutto questo. Dove per "tutto questo" intendo l'esaltazione della sua umile condizione che ne acuisca il valore delle fotografie, dove per "tutto questo" intendo lo svilimento delle condizione culturale della Maier che ne acuisca il volere intrinseco del "talento", parola peraltro abusatissima.

Cercherei di far luce su un altro aspetto dell'atto fotografico di Maier ovvero: secondo lei l'atto del fotografare dove iniziava e dove finiva? Interessante capire se per Maier l'estro fotografico si esaurisse col premere il pulsante di scatto, interessante capire se per lei l'atto del fotografare fosse una sua pulsione personale senza dare seguito a tutto quello che ne seguisse, ovvero la produzione della stampa e l'esposizione, perchè se non fosse così (autore che non vuole mostrare il suo lavoro dato che trova piena soddisfazione nel trovare le immagini e carpirle per la leggerezza di farlo) la Mostra di Maier si smonterebbe da sola, andremmo a vedere una mostra contro la volontà dell'autore profanando il suo fotografare. Ecco bisognerebbe capire più cose: se non stampasse più per mancanza di soldi o meno, se si fosse proposta in passato o non avesse l'interesse di farlo, se il suo essere schiva dipendesse da una patologia mentale o meno, se il suo atto di fotografare fosse un atto di ribellione o meno, sapere quali foto ha stampato o fatto stampare lei stessa o ancora se negli scatoloni sono stati ritrovai appunti, pensieri o frasi scritte di pugno dalla Maier che ci lascino intendere che tipo di persona era, lasciare cioè per strada gran parte del romanticismo che ammanta la storia che vende e recuperare barlumi di verità per capire dove Maier deve stare: se in un romanzo di letteratura o in una galleria.

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